Lentamente, ma con passo deciso, l’evidenza della tratta di donne ivoriane e francofone, sta facendo breccia nella riflessione e nella pratica del sistema antitratta italiano (e francese).

I numeri relativi agli sbarchi di donne francofone e alle fughe repentine e di massa dal sistema di accoglienza, del resto, parlano chiaro. Resi ancora più evidenti dalla “scomparsa” delle donne nigeriane, bloccate nei paesi di transito e sostituite dal “nuovo prodotto” sul mercato europeo dello sfruttamento sessuale (e lavorativo).

In questo percorso di tratta l’Italia appare (e si è fin qui comportata) come un’inconsapevole e complice paese di “transito” e il suo sistema di accoglienza, specie in Sicilia, terra di sbarco, in una rete “funzionale” al traffico e al trasferimento in Francia delle vittime.

Non tocca a noi indicare quanto, in questo atteggiamento, sia frutto di ignavia ovvero di complicità, di colpa ovvero di dolo, ma sicuramente possiamo/dobbiamo provare ad annullarne le ricadute nefaste sui percorsi di tratta delle donne coinvolte.

E’ chiaro che dobbiamo impegnarci tutti affinché le donne trafficate possano ricevere aiuto e protezione in ogni momento e ogni paese di transito, Tunisia compresa, ma non è lecito affermare che delle donne francofone in transito nel nostro paese se ne debbano occupare in primo luogo i francesi (in ossequio alla logica della “redistribuzione” degli oneri di assistenza e protezione).

Oggi i numeri, i fatti e le testimonianze, ci dicono che queste donne non transitano in Francia o Belgio per andare a ricongiungersi coi loro “promessi sposi”, ma semmai costrette a “matrimoni forzati”, destinate allo sfruttamento nel lavoro domestico ovvero costrette alla prostituzione.

In questi mesi in cui siamo stati impegnati nell’emersione e identificazione del fenomeno, ci siamo confrontati con resistenze/perplessità che appaiono, oggi, superate, oltre ogni ragionevole dubbio, dai fatti.

Il transito italiano non è un evento accidentale, ma è parte di un preciso disegno criminale che si nutre proprio della permeabilità e dell’insipienza del nostro sistema di accoglienza, ma, se il nostro atteggiamento e, soprattutto, la nostra operatività cambia e si fa consapevole contrasto e assunzione di responsabilità sociale, può diventare un’occasione concreta per dirottare le donne trafficate dal loro destino/destinazione verso transiti di liberazione.

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